mercoledì 27 agosto 2008

Il governo incontra i nuovi poveri, in fila per il pane



C'è Rotondi, li in mezzo, a distribuire il pane, non lo vedete?

Anche laureati e lavoratori fra i tremila in coda: «Ci vergogniamo, ma non abbiamo alternative»
ELENA LISA
MILANO
«La mia famiglia è di Cosenza. Non è ricca ma nemmeno povera. Mi aiuta con le spese per l’affitto, per tutto il resto me la devo cavare da sola. Arrivare con la laurea in una città come Milano credevo fosse la soluzione per vivere meglio, ma ho scoperto che la vita, oltre che dura, è anche molto costosa. Con quello che ho non ce la faccio, perciò vengo qua». A parlare è una ragazza che si fa chiamare Maria. Anche lei è in coda, alle otto e trenta del mattino, davanti alla sede di «Pane Quotidiano», associazione che ogni giorno distribuisce pane, latte e altri viveri.

Maria sta ai cancelli di viale Toscana 28, periferia della città; l’altra sede è in viale Monza 335, e ciò che ultimamente accade, dicono increduli gli stessi volontari, è «sconvolgente». Più di 1.500 persone in settimana e oltre 3.000 soltanto il sabato, si mettono in coda, aprono il loro sacchetto e aspettano che venga riempito: a volte con il pane ci sono formaggi e yogurt, altre volte frutta e verdura, altre ancora un chilo di pasta.

In coda ci sono molti immigrati in difficoltà e qualche sbandato, ma almeno un terzo è rappresentato dall’«esercito italiano dei nuovi poveri». Persone assolutamente normali, come Maria, trent’anni, ha un aspetto curato, labbra lucide di rossetto e occhiali da sole sulla testa. Come lei, anche gli altri italiani non vogliono dire come si chiamano: temono di essere riconosciuti, come se non farcela fosse una vergogna privata da nascondere. Abitano in case dignitose, indossano abiti puliti, hanno figli che lavorano all’estero oppure si barcamenano tra un contratto interinale e l’altro. Mangiano a pranzo e a cena, ma per continuare a farlo hanno bisogno di assistenza. C’è chi chiede aiuto da anni. Altri lo fanno da alcuni mesi, da quando i prezzi dei prodotti alimentari sono esplosi, pane e pasta in testa.

Come Antonio che pronuncia il nome a fatica e forse se lo inventa. Jeans, una polo, fresco di barba, arriva e parla con la testa bassa: «Ho 24 anni e vivo da solo da quando ne ho 20. Da quando i miei hanno divorziato mi mantengo facendo lavori saltuari. Non vengo qui volentieri ma non ho alternative. Con quello che mi danno riesco a risparmiare anche cinque euro al giorno. Quei soldi mi servono, devo ricaricare il cellulare, altrimenti come faccio a parlare con l’agenzia che mi propone il lavoro?».

Più di 10 quintali di pane, oltre mille litri di latte, dalle 2 mila alle 3 mila confezioni di formaggio, e altrettante di yogurt: questa la distribuzione giornaliera della onlus che, con 60 volontari, dà aiuto a chi è in difficoltà «senza chiedere nome e pretendere informazioni». E’ la prima regola dello statuto. «Sto qui da 13 anni - racconta il coordinatore dei volontari, Saverio Rebecca, 80 anni -. Apriamo i cancelli alle 9 e chiudiamo alle 11. Quelli che arrivano ormai li conosciamo. Negli ultimi mesi però qualche cosa è cambiato».

Saverio, mentre parla non smette di infilare quarti di toscano e formaggio a fette nelle buste di chi arriva davanti allo sportello: «Ci sono sempre più italiani. I giovani ancora si contano sulla punta delle dita, non sono moltissimi, ma riusciamo a distinguerli anche se non parlano e ci fanno a stento un sorriso. Non è così per i pensionati che sono tanti già da un bel po’».

Alle dieci passate al cancello si avvicina un anziano alto con berretto e occhiali scuri che cammina con un bastone: davanti a lui un africano con il figlio in braccio. Dietro due donne arabe con il velo. Indossa un camiciotto che sembra appena stirato, pantaloni bianchi e lindi: «Facevo l’autista e ho dovuto smettere per un incidente. Ho la pensione minima, quasi 500 euro al mese. La casa è mia, ma a fine mese non riesco ad arrivarci. Acqua, gas, luce. Io e mia moglie dove troviamo i soldi per mangiare? I miei figli lavorano in Germania e in Francia, nemmeno immaginano come stiamo noi in Italia e non vogliamo farglielo sapere. Nome, foto sul giornale? No grazie, mia moglie si vergognerebbe».

Nonostante l’orario per i rifornimenti sia scaduto da quasi tre quarti d’ora, i volontari continuano: impilano scatoloni, mettono il cibo nel frigorifero e riempiono altre buste: «Sono quelle speciali, per chi ha più bisogno. C’è chi ha perso il lavoro per una malattia e chi ha una famiglia da mantenere». Come Rosa, un marito appena licenziato da una ditta di pulizie fallita, un figlio impiegato, l’altro che distribuisce pizze e l’ultimo che studia alle medie: «Non avrei mai pensato di ritrovarmi così, credevo che a 50 anni i binari della mia vita fossero già tracciati. Invece basta un imprevisto, ti gira storta e bisogna ricominciare tutto daccapo».

Nessun commento: